BASTA BUGIE, FERMIAMO IL GREENWASHING, PORTIAMO IN PIAZZA LA GIUSTA TRANSIZIONE!MANIFESTAZIONE A ROMA SABATO 9 OTTOBRE DALLE ORE 11 DAVANTI AL MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA via Cristoforo Colombo 14 – RomaLa crisi climatica ed ecologica è qui e ora! I disastri ambientali sono all’ordine del giorno, gli ecosistemi sono sempre più compromessi. Questo modello di sviluppo divora ogni risorsa naturale e soffoca tanto le capacità economiche dei lavoratori quanto la qualità della vita di ogni individuo, aggredendone violentemente tutti i diritti. La riconversione ecologica deve essere radicale e immediata, ma governi e multinazionali continuano ad osteggiarla, anteponendo ad essa l’irrinunciabile priorità dei loro profitti ed interessi. Di fronte a tali urgenze, mentre si susseguono i soliti ed inconcludenti vertici internazionali, i governi italiani degli ultimi anni si rivelano tra i più succubi delle lobby del fossile e dei grandi gruppi industriali. Il Ministro Cingolani, l’uomo incaricato di portarci fuori dalla crisi climatica si scaglia contro gli ambientalisti “radicalchic” e porta avanti politiche in netto contrasto con le indicazioni drammaticamente stringenti dell’IPCC. Nessuna iniziativa verso l’incremento delle fonti rinnovabili, verso le bonifiche dei siti altamente inquinati, né in favore delle nascenti “comunità energetiche”, e nemmeno in favore dei tanti progetti alternativi ed ecologici proposti da comitati, lavoratori e cittadini. Assistiamo invece, nelle dichiarazioni del ministro, a continui interventi a favore di nuovi gasdotti e centrali turbogas, idrogeno blu, CCS, trivellazioni, grandi opere inutili, non ultimo persino le proposte di ritorno al nucleare. È in atto un continuo GREENWASHING, diventato pratica istituzionale per coprire i “regali” fatti al fossile: 20 miliardi all’anno in favore delle multinazionali di gas e petrolio. Per questo la campagna Nazionale Per il Clima Fuori Dal Fossile, RECLAMA, proprio davanti ai palazzi del potere, un immediato e radicale cambio di passo e, se necessario, le dimissioni del Ministro Cingolani. Se il Ministero della Transizione Ecologica non ha intenzione di ascoltare i territori, saranno i territori a farsi ascoltare.
“Una transizione ecologica reale potrà realizzarsi solo con il coinvolgimento degli operai stessi, e solo difendendo e ripensando quel tessuto industriale che oggi si vorrebbe ulteriormente smantellare, determinando una spirale di impoverimento economico, sociale e culturale dei nostri territori.
Parole chiare, nette, ineludibili, che come attivisti per la giustizia climatica e cittadini partecipi di tanti comitati territoriali in lotta riuniti nella Campagna nazionale Per il clima Fuori dal fossile, ci sentiamo di sottoscrivere e sostenere. Da tempo ci stiamo impegnando per prefigurare una transizione ecologica diversa e alternativa a quella proposta dal greenwashing delle multinazionali, dai grandi consessi istituzionali globali dei G20 e delle Cop dell’Onu, dai terminali governativi nazionali del governo Draghi e Cingolani.
Una transizione che veda sempre più unite e comunicanti le lotte ambientali, ecologiste, contro le grandi opere, per la sanità pubblica e i diritti del mondo del lavoro, oltre le rappresentanze sindacali più stantie, verso le tante movimentazioni che si stanno dando nelle realtà produttive legate alla filiera del fossile, come alla logistica e in tanti altri settori…
E nei fatti possiamo constatare come la storica strumentalizzazione del presunto conflitto ambiente/lavoro, sempre aizzata da chi ben sappiamo in momenti nevralgici di decisioni politica e con conseguenze spesso nefaste e per la difesa dell’ambiente come del lavoro, oggi cominci a scricchiolare sempre più. Allargare queste crepe, intrecciare le mobilitazioni, sono i principali ingredienti della transizione ecologica e produttiva che vogliamo imporre
Per questo saremo sabato 18 a Firenze con Trivelle Zero/Marche, come poi l’1 e 2 ottobre a Milano per la grande marcia contro la Precop, e soprattutto sabato 9 ottobre davanti al ministero della Transizione ecologica di Cingolani
Il PiTESAI (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee): “finta razionalizzazione” e “colpevole ritardo”
Sono oltre cento le osservazioni arrivate alla consultazione pubblica, terminata mercoledì 14 settembre, sul nuovo PiTESAI presentato dal nuovo Ministero della Transizione Ecologica: dalle istituzioni (come il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero della Salute, le Regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Abruzzo, Basilicata, Puglia e da molte Province e Comuni, e poi Acquedotto Pugliese, il Parco Delta del Po), e poi da tantissime associazioni, tra cui emergenzaclimatica.it, Forum Ambientalista, No TAP/SNAM Brindisi, Notriv, aderenti alla Campagna “Per il Clima, Fuori dal Fossile”. Tutti fortemente critici verso il Piano che viene così bocciato in ogni sua parte.
Il nuovo Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, che deve regolamentare il rilascio o meno dei titoli minerari per “trivellare” a terra e in mare, e che dovrebbe eseguire la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, con cui l’Italia ha adottato e programmato l’attuazione dell’Agenda 2030 (che individua gli obiettivi energetici verso il processo di decarbonizzazione), e la Long Term Strategy (che fornisce una visione al 2050), è in aperta contraddizione con tutti gli obiettivi di decarbonizzazione e di riduzione delle emissioni climalteranti promessi dall’Italia all’Unione Europea e imposti dall’Unione Europea stessa, dai rapporti IPCC e dagli obiettivi ONU.
Infatti il nuovo PiTESAI lascia intatte tutte concessioni di ricerca e coltivazioni sia di petrolio che di gas in essere (“fino a fine vita”), assicura le autorizzazioni alle richieste concessorie attualmente in moratoria, a patto che si trovino nelle nuove aree idonee (ed è chiaro che lo siano), anzi, promette per le nuove autorizzazioni un regime “semplificato” secondo le finalità espresse dal “Decreto Semplificazioni”.
Vengono addirittura allungate le scadenze dei titoli minerari di coltivazione: oltre al primo periodo di vigenza di 20 o 30 anni sono previsti ulteriori periodi di proroga di 10 e 5 anni, cioè oltre il 2050! Ricordiamo che tutti i progetti a petrolio o gas fossile nel PnRR sono stati bocciati dall’Unione Europea e perciò esclusi.
“Finta” razionalizzazione
La “razionalizzazione” in termini di obiettivi climatici europei riguarda nel PiTESAI il numero di impianti in dismissione (cioè quelli improduttivi da oltre 7 anni: è chiaro che sono impianti a fine vita o esauriti) e non la quantità prodotta di idrocarburi: nel 2020 si è registrata una produzione di olio greggio pari a 5,38 milioni di tonnellate con un incremento del 26,13 % rispetto alla produzione 2019, che, trasformato poi dalla filiera produttiva, aumenterà proporzionalmente le emissioni di CO2. E con l’introduzione della tassazione europea sulla CO2 emessa, tale aumento sarà scaricato dai buyers (ENEL, Acea, A2A, Edison…) sulle bollette dei cittadini (si veda l’aumento del 40% delle bollette annunciato in questi giorni dal Ministro Cingolani).
E la “razionalizzazione” riguarderebbe anche le “zone idonee”, che rappresentano il 42.5% dell’area terrestre italiana e l’11% dell’area marina, senza considerare le aree transfrontaliere…
Ma nello specifico, l’esigua riduzione delle aree idonee riguarda zone in cui le compagnie oil&gas hanno da tempo abbandonato le attività minerarie.
Manca poi del tutto una programmazione di dismissioni di impianti o riduzione della produzione esistente di gas e petrolio al 2050. Non si può realizzare la “transizione ecologica” aumentando l’estrazione di petrolio negli impianti esistenti e mantenendo tutte le attività minerarie esistenti e concedendo illimitati nuovi titoli minerari a patto che rientrino in quella metà del territorio italiano considerato area idonea.
“Colpevole ritardo”
Entro due settimane la Commissione Tecnica VIA/VAS del Mite dovrà acquisire e valutare tutta la documentazione presentata, nonché le osservazioni, obiezioni e suggerimenti pervenuti nella fase di consultazione, ed esprimere il parere motivato, che costituisce presupposto per la prosecuzione del procedimento di approvazione. Poi, il Ministro della Transizione Ecologica approva il Piano, di intesa – per la terraferma -con la Conferenza Unificata Stato – Regioni. Come farà il MITE e la CT VIA/VAS a pubblicare il PiTESAI per la sua adozione definitiva entro il 30 settembre 2021?
Ricordiamo come la mancata approvazione del PiTESAI entro il suddetto termine potrebbe fare ripartire quei circa 40 permessi di ricerca di idrocarburi in nuove coltivazioni bloccati dalla moratoria del 2019, visto anche il precedente del 9 aprile 2021, primo atto del nuovo Ministero, che sbloccava una decina di VIA ai rinnovi di concessioni, comprese anche le concessioni di petrolio, localizzate in coltivazioni esistenti.
Perciò chiediamo innanzitutto al MITE di prorogare la moratoria del 2019 verso tutte le concessioni fino all’approvazione del PiTESAI, visto che tale moratoria era stata originariamente deliberata dal MATTM proprio per riconsiderare i permessi di ricerca e coltivazione di idrocarburi sia in nuove aree che in quelle attuali, e proprio per adeguare tale normativa alle nuove politiche europee, e procedere così speditamente verso l’opzione zero del 2050, e cioè lo stop alle trivellazioni, nel rispetto di uno dei principi cardine della transizione ecologica: il rapido abbandono dei combustibili fossili, responsabili di emissioni nocive e climalteranti.
Manca a questo Ministero della Transizione Ecologica una politica globale e una strategia nazionale per l’emergenza climatica. Ogni Piano finora deciso dal Governo a livello nazionale (dall’anacronistico PNIEC alla ambigua Strategia Nazionale sull’Idrogeno) sembra prolungare lo status quo, invece che pianificare una fuoriuscita dai combustibili fossili.
Il prossimo 9 ottobre, porteremo la nostra protesta e le nostre proposte sotto al Ministero per reclamare un cambio di passo netto e deciso verso una vera riconversione ecologica per la giustizia climatica.
Chiediamo a tutte le realtà ecologiste e ai comitati territoriali, di confrontarci e di aderire a questo importante appuntamento, pensato come una tappa di quel percorso di mobilitazioni che, dal NO G20 di Venezia e di Napoli, passando dalle iniziative di contestazione della pre–Cop in programma a Milano, e dallo sciopero generale dei sindacati di base, ci porterà alle manifestazioni contro la COP 26 a Glasgow.
“L’idrogeno blu è del 20% peggiore per l’ambiente che bruciare metano”, secondo l’ultima ricerca di Stanford University/Cornell University (Aprile 2021)
“ L’idrogeno blu è spesso visto come un importante vettore energetico in un futuro mondo decarbonizzato. Attualmente, la maggior parte dell’idrogeno è prodotto mediante “steam reforming” del metano (c.d. “idrogeno grigio”), con elevate emissioni di anidride carbonica.
Molti stati oggi propongono invece di utilizzare la cattura e lo stoccaggio del carbonio (tecnologia CCS) per ridurre (“ridurre” non … “eliminare”) queste emissioni, producendo il cosiddetto “idrogeno blu“, presentato come soluzione appunto a “basse emissioni” o “idrogeno compensato”. (Michele Carducci).
Ma un recente studio, svolto da un autorevole gruppo di ricerca delle Università di Stanford e Cornell, smonta in modo rigoroso e non confutabile la “policy legend” del c.d. “idrogeno blu”, dimostra che la soluzione non è neppure a “basse emissioni”. I dati attestano che le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di “idrogeno blu” permangono piuttosto elevate, in particolare a causa del rilascio di metano fuggitivo, persino nel caso in cui l’anidride carbonica catturata dovesse essere immagazzinata per sempre e senza dispersioni, ipotesi, questa del carattere definitivo e senza dispersioni, priva di qualsiasi dimostrazione scientifica e pratica.
Lo studio: le emissioni con H2 blu e CCS sono del 20 per cento superiori che bruciare direttamente gas e addirittura del 60% bruciando diesel per il riscaldamento, considerando il carbon footprint dell’intera filiera produttiva.
Lo studio degli scienziati ha portato sconcerto nella stampa del Regno Unito, dove Boris Johnson sta per emanare la Strategia Nazionale sull’Idrogeno, basando la sua transizione ecologica al 70% proprio sull’uso di H2 blu e CCS per decarbonizzare l’economia inglese, con l’impianto BP a Teesside e il più grande impianto CCS al mondo di SSE e Equinor vicino a Hull. (vedi bibliografia)
Ma in Italia questo studio è passato quasi inosservato, come anche l’ultimo rapporto AR6 dell’IPCC che lancia “l’allarme rosso per l’umanità”.
Cos’è l’idrogeno blu? E il CCS?
L’idrogeno è uno degli elementi più diffusi in natura, ma si può scindere in modo conveniente industrialmente solo dal metano ( CH4, detto idrogeno grigio o blu) o dall’acqua ( H2O, detto idrogeno verde).
Parleremo qui dell’idrogeno blu. Si ottiene come detto dal metano ( CH4 ) tramite elettrolisi, che richiede molta energia, e restituisce come scarto molto biossido di carbonio (CO2). L’idrogeno blu, rispetto all’idrogeno grigio, cerca di catturare tale “resto sporco” della produzione, e di stoccarlo sottoterra nei giacimenti esausti delle trivellazioni terrestri di petrolio o gas sulla terraferma o in mare. Così l’idrogeno grigio, con forti emissioni di CO2, diventa blu, catturando e nascondendo la CO2 prodotta “sotto il tappeto” con il CCS…
Per alimentare gli elettrolizzatori, non importa che energia si usa, se rinnovabile o fossile o nucleare. E ci sono diverse metodologie tecniche per estrarre l’idrogeno dal metano: ma le emissioni di CO2 sono simili, e devono essere catturate. Ma per farne cosa?
La produzione di idrogeno blu non è conveniente a livello energetico: per produrre l’equivalente di 1 Kw/ora di energia da idrogeno combusto servono circa 5 Kw/ora di energia: uno spreco dell’80% di energia ed emissioni massicce di CO2. Servono perciò ingenti interventi di sovvenzioni statali per giustificare tale produzione, che pagheremo noi poi nelle bollette in nome della decarbonizzazione.
E la Commissione Europea, in una nota emessa sui progetti di Recovery Fund italiani a fine giugno 2021 (DOC SWD (2021) 165 final), a pagina 60 sotto il principio del DNSH, “Do No Significant Harm”, stabilisce che nel PNRR italiano “gli investimenti nell’idrogeno saranno limitati all’idrogeno verde e non conterranno idrogeno blu ne coinvolgeranno il gas naturale”https://ec.europa.eu/info/system/files/com-2021-344_swd_en.pdf
La tecnologia CCS
CCS vuol dire Carbon Capture and Storage, ma c’è anche il CCUS, dove la U sta per Utilization, cioè una parte della CO2 catturata viene riutilizzata per scopi industriali. In parole povere, le industrie energetiche (tipo centrali a carbone ENEL) e petrolchimiche (tipo impianto ENI di Ravenna) continuano a produrre CO2 climalterante nelle loro produzioni, ma la catturano in parte, stoccandola sotto terra, rendendo così “green” le loro solite produzioni inquinanti, cioè riducendo in parte le emissioni in aria della CO2. Un classico study case di greenwashing. La produzione di idrogeno blu da metano con CCS ne è un classico esempio.
CCS a livello scientifico
A livello scientifico ci sono molti studi che effettuano comparazioni relative, ossia binarie, tra le imprese che “fanno meglio” nella CCS. Ma questo tipo di comparazione è ingannevole (al primo posto risulta infatti Exxon!) con riguardo ad altre comparazione binarie, come quella dell’Accademia Nazionale di Scienze degli Stati Uniti. Del resto, i progetti CCS sono tendenzialmente fallimentari, quindi “incerti”.
Bisogna tener conto che tutte le strategie su CCS, idrogeno blu etc. operano dentro la logica della c.d. “curva di indifferenza”, ossia immaginando che il decisore (soprattutto aziendale) abbia a disposizione diverse opzioni di scelta su cui esprimere liberamente la propria preferenza, senza alcuna gerarchia o priorità dettata dall’esterno.
Questo schema “in vitro” è ormai impraticabile nell’emergenza climatica.
Spieghiamo: è come immaginare la “curva di indifferenza” sul che fare dentro una casa in fiamme, predicando opzioni e preferenze fra loro tutte uguali, dal farsi bruciare vivo all’uscire di fretta da casa al chiamare i pompieri etc. e poi magari comparare chi fa meglio degli altri per ognuna di queste opzioni (per es. chi è stato più rapido nel chiamare i pompieri, che nell’abbandonare la casa ecc…).
E’ di tutta evidenza che questo genere di rappresentazioni e comparazioni (praticate appunto dal Global CCS Institute), fingono sulla realtà, perché negano che ci sia una variabile determinante e indipendente che vincola e condiziona le preferenze: l’emergenza climatica (cfr. https://impatti.sostenibilita.enea.it/research/topic/86 ).
I pochi progetti CCS nel mondo
Sono solo 3 i progetti attualmente attivi citati in tutte le pubblicazioni: Sleipner in Norvegia, Weyburn in Canada e Salah in Algeria. Ma senza risultati economicamente convenienti. Poi, in coincidenza con la strategia energetica varata dalla Merkel durante la sua presidenza UE (il pacchetto Clima Energia 20 20 20, taglio del 20% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990, 20% del fabbisogno energetico ricavato da fonti rinnovabili, miglioramento del 20% dell’efficienza energetica), fissati nel 2007 e recepiti nelle legislazioni nazionali nel 2009), le lobby del fossile ottennero in compensazione 1 miliardo di euro per realizzare “la costruzione e la messa in funzione, entro il 2015, di 12 impianti di dimostrazione per la produzione commerciale di elettricità con cattura e stoccaggio del carbonio (CCS)”.
L’Italia presentò il progetto ENI – ENEL “CCS Brindisi – Cortemaggiore – Porto Tolle” per 100 milioni di euro.
Il “progetto di eccellenza” italiano: CCS Brindisi – Cortemaggiore del 2008
Inaugurato nel 2011 alla presenza dell’allora Ministra dell’Ambiente Prestigiacomo, doveva separare una piccola quantità di CO2 dai fumi della centrale a carbone Enel di Brindisi (8 mila t/anno di CO2 sequestrata secondo i dati del portale sulla carbon sequestration del Massachussets Institute of Technology). La CO2 doveva poi essere trasportata lungo gran parte della penisola con autobotti fino a Cortemaggiore, 800 km, nel piacentino, per essere iniettata all’interno di un sito di stoccaggio geologico di Stogit (il gestore degli stoccaggi gas). L’impianto di cattura alla centrale ENEL di Cerano è stato realizzato, ma poi non si è saputo più nulla del progetto CCS. Nel 2015 la ditta Stogit ha presentato in Provincia richiesta di riesame dell’ autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l’impianto di compressione e stoccaggio di gas naturale in Comune di Cortemaggiore (via Tre Case e via Sant’Anna, in località Olza) e in Comune di Besenzone, dove si cita ancora l’impianto di iniezione di anidride carbonica, del quale si erano perse le tracce dal 2012.
Tanto che persino il MIT di Boston dichiarava chiuso il progetto nel 2016 per non aver ricevuto dati: “After an initial testing period in March 2011, the project was expected to be operational by 2012. However there has been no news on this project since 2011 and it is presumed that the project didn’t proceed to the operational phase.”
Solo nel 2020, Salvatore Bernabei, numero 1 di Enel Green Power, ha dichiarato in un’intervista a Standard & Poors che quella della CCS per Enel è una stagione finita.
E solo l’11 agosto 2021 ENEL presenta le integrazioni alla Valutazione di Impatto Ambientale per la conversione a gas di Cerano, e decide di demolire “l’area retro caldaie a carbone e l’impianto sperimentale di cattura e stoccaggio della CO2” visto che le ombre delle strutture, proiettate sui pannelli solari da installare, ridurrebbero drasticamente la produzione energetica dei pannelli. Il flop del progetto.
Nel 2018, la Corte dei Conti Europea nella relazione n. 24/2018 ha certificato il fallimento della tecnologia CCS dopo aver esaminato i risultati ottenuti con il programma EEPR. I progetti sono stati cancellati o conclusi senza essere entrati in funzione, con l’eccezione dell’impianto pilota in Spagna che, però, non ha dimostrato l’utilizzo del CCS su scala reale.
2020: ma ENI insiste: il progetto CCS di Ravenna è un polo di separazione di CO2 da attività energetiche e chimiche almeno inizialmente dell’area del gruppo Eni e sua iniezione in giacimenti gas esauriti del medio Adriatico. La dimensione obiettivo di ENI ne farebbe “uno dei più grandi hub del mondo di CCS” con una capacità a regime fino a 5 milioni di t CO2.
Nell’ estate 2020, Claudio Descalzi parla di un lavoro di Eni per proporre uno dei progetti principali al Piano Europeo del Recovery Fund: il CCS di Ravenna.
Infatti troviamo nella prima bozza del Recovery Plan di dicembre 2020 del Governo Conte bis 1.2 miliardi da investire nel progetto CCS di Ravenna. Ma la Commissione istruttrice della UE boccia il finanziamento, escluso poi già nella seconda bozza PNRR del governo Conte e poi nella versione definitiva del PNRR presentata dal governo Draghi ad aprile 2021 dopo la citata nota EC di fine giugno 2021 (DOC SWD (2021) 165 final). Restano nel PNRR definitivo solo investimenti in Green Hydrogen Valley e idrogeno verde. Ma il neoministro della Transizione Ecologica Cingolani punta ancora sull’idrogeno blu…
La Strategia Nazionale sull’Idrogeno (2020)
Il Ministero dello Sviluppo Economico presenta nel novembre 2020 la nuova Strategia Nazionale sull’idrogeno, basandosi sui dati del PNIEC ( Piano Nazionale Italiano Energia e Clima ) di gennaio 2020.
Il piano prevede: 2% circa di penetrazione dell’idrogeno nella domanda energetica finale, fino a 8 Mton in meno di emissioni di CO2eq, circa 5 GW di capacità di elettrolisi per la produzione di idrogeno (elettrolisi=idrogeno blu), creazione di oltre 200k posti di lavoro temporanei e fino a 10k di posti fissi, fino a 27 mld € di PIL aggiuntivo, fino a 10 mld € di investimenti per H2 (investimenti FER da aggiungere),
di cui metà da risorse e fondi ad hoc.
E ciò per implementare applicazioni per la mobilità (es. camion a lungo raggio,
treni, navi, aviazione, ecc. ), applicazioni industriali (es. chimica, raffinazione, siderurgia primaria, ecc. ), stoccaggio e generazione di elettricità dall’idrogeno, applicazioni per il riscaldamento residenziale e commerciale.
Le nostre osservazioni al PNIEC prima (basato al 70% sulla transizione ecologica col metano) e poi alla Strategia sull’idrogeno hanno dimostrato che:
le previsioni del Piano sull’idrogeno sono anacronistiche, considerando la stesura del PNIEC che prevedeva una riduzione solo del 40% delle emissioni per il 2030, e a priori, considerando l’ultimo rapporto AR6 dell’IPCC che imputa il metano come la causa principale per l’allarme rosso all’umanità.
che la Strategia Europea sull’idrogeno è molto più incisiva raccomandando una “priority to develop renewable hydrogen”
che c’è una costante confusione tra idrogeno rinnovabile verde e idrogeno “compensato” blu
che è basata sull’idrogeno “compensato” con CCS, e in Italia non ci sono impianti CCS funzionanti
che non ci sono incentivi per elettrolizzatori e idrolizzatori
che le reti gas italiane sono adeguate al trasporto solo del 5% di idrogeno in mix col metano, perciò è un combustibile poco distribuibile
e tanto altro (vedere le nostre osservazioni alla Strategia sull’idrogeno).
Le nostre conclusioni:
l’idrogeno blu ha risultati quantitativamente poco rilevanti
il CCS rinvia il problema CO2 alle generazioni future
il CCS ha costi elevati e rischi sismici e ambientali
l’idrogeno blu conviene solo alle aziende fossili
H2 blu deve essere sostenuto da sovvenzioni pubbliche per essere conveniente, soldi dati alle aziende fossile per continuare a inquinare e nascondere la CO2 sottoterra
tutte le sperimentazioni finora sono state “uno spreco di risorse pubbliche” secondo la Corte dei Conti Europea
H2 può essere trasportato negli attuali gasdotti solo al 5-10%, giustificando l’uso di metano al 90%
L’ultimo rapporto AR6 dell’IPCC indica il metano come il principale elemento climalterante responsabile dell’emergenza climatica, perciò da ridurre, anzi, azzerare subito, soprattutto per le perdite fuggitive nella filiera.
Bibliografia del dossier:
Fonti CCS:
Il Catalogo delle Tecnologie Energetiche.pdf – DSCTM – CNR del 2017, pag. 39
Estimation of Greenhouse Gas Emissions from the EU, US, China, and to 2060 in Comparison with Their Pledges under the Paris Agreement, Yang Liu 1,2 ID , Fang Wang 1,* and Jingyun Zheng 1,2, in MDPI, 2017
World Energy Outlook, IEA, 2016-2019
Carbon removal lessons from an early corporate purchase, Microsoft, 2021
Special Report on Carbon Capture Utilisation and Storage in clean energy transitions, IEA, 2020
Sito web del progetto Hynet di produzione di “blue hydrogen” in prossimità di Liverpool: https://hynet.co.uk/
con il contributo degli studenti della redazione e del Prof. Michele Carducci, UniSalento
Redazione di https://www.emergenzaclimatica.it , un progetto di Alternanza Scuola/Lavoro (ora PCTO) tra l’IISS Ferdinando di Mesagne e il Centro CEDEUAM di UniSalento, Lecce.
la redazione è parte del gruppo comunicazione della Campagna “Per il clima, fuori dal fossile” che raggruppa oltre 50 associazioni ambientaliste italiane http://www.fuoridalfossile.wordpress.com
Membro della Rete Legalità per il Clima, una rete di ricercatori, giuristi e avvocati, esperti di Diritto climatico, a disposizione di Cittadini e associazioni che rivendicano il diritto umano al clima: https://www.giustiziaclimatica.it/la-rete/
L’opera è inutile e sarà pagata in bolletta dai consumatori italiani . Lo dice anche l’ENI.
I Comitati cittadini per l’ambiente e il Coordinamento No Hub del gas hanno chiesto alle Procure della Repubblica di Roma e di Sulmona di aprire una indagine sulla lunga e controversa vicenda Snam al fine di fare piena luce sui tanti aspetti poco chiari che caratterizzano l’iter autorizzativo della centrale e del metanodotto. Il dettagliato esposto degli ambientalisti, corredato da numerosi allegati, parte dall’assunto che le motivazioni che hanno portato ad autorizzare l’opera siano prive del presupposto fondamentale, ovvero la sua necessità. Di conseguenza tutti gli atti adottati in merito ne risultano inficiati.
L’esposto è basato sui dati contenutinei piani decennali e nei bilanci della Snam. La multinazionale, al fine di ottenere le autorizzazioni da parte dello Stato, ha sempre sostenuto che l’opera è necessaria perché la rete di trasposto del gas italiana “potrebbe in futuro risultare congestionata”.Questa tesi poteva avere una sua validità quando è stato presentato il progetto (2004) masuccessivamente è stata clamorosamente smentita dalla realtà. Infattitutte le previsioni della Snam sulla crescita dei consumi di gas si sono rivelate sbagliate. Il picco massimo dei consumi di metano si è avuto nel 2005 con 86,265 miliardi di metri cubi; nel 2019 sono stati pari a 74,34 miliardi di mc e – secondo le previsioni della stessa Snam – nel 2030 saranno di 62,4 miliardi di mc. Questo significa che nel nostro Paese i consumi di gas non raggiungeranno mai più il livello del 2005 e quindi che la rete nazionale non potrà risultare “congestionata” ma, al contrario, risulta già oggi sovradimensionata. Pertanto costruire nuovi inutili impianti rappresenta uno sperpero di denaro( la Rete Adriatica, centrale compresa, costa 2 miliardi e 500 milioni di euro) che verrà scaricato sulle bollette dei cittadini italiani. Lo dice chiaramente l’ENI, di cui la Snam è una filiazione :“Trattandosi di investimenti che non sono necessari a garantire il soddisfacimento della domanda nazionale (…) si farebbero gravare interamente sui consumatori italiani i costi sostenuti (…) che verrebbero recuperati in tariffa in 40/50 anni”.Né è pensabile poter esportare metano verso altri Paesi europei perché la riduzione dei consumi di fonti fossili, gas compreso, coinvolge tutta l’Europa, impegnata a raggiungere la neutralità climatica al 2050, nel rispetto dell’Accordo di Parigi.
A fronte di questo scenario inequivocabile la Snam avrebbe dovuto rinunciare spontaneamente al suo progetto insostenibile sul piano energetico, economico, climatico e ambientale. Ma non lo ha fatto perché conta di poter usufruire di contributi europei e italiani che una perversa legislazione gli consente di avere anche se non venderà neppure un metro cubo di metano in più. Dal canto suo lo Stato italiano avrebbe dovuto azzerare il progetto e ritirare le autorizzazioni già concesse, ma non lo ha fatto. Pertanto si chiede al Magistrato di accertare se la Snam abbia fuorviato ed indotto in errore gli organi decisionali; se la Snam con il suo comportamento abbia posto in essere una situazione tale da arrecare un danno economico ai cittadini italianiattraverso un immotivato aumento della bolletta energetica; se la Snam con il suo comportamento abbia posto in essere una situazione da cui potrebbe ottenere un indebito vantaggio economico anche attraverso finanziamenti e incentivi previsti dalla normativa europea e italiana; se gli organi dello Stato italiano abbiano agito con la necessaria diligenza nel valutare le motivazioni addotte dalla Snam per giustificare l’opera e se siano state commesse violazioni di legge nel concedere le relative autorizzazioni; se l’Autorità per l’Energia (Arera) abbia deliberato l’immissione in tariffa dei costi di opere che dovessero risultare prive della necessaria giustificazione, e se ciò si configuri come adozione di atti illegittimi; se lo Stato italiano, autorizzando tali infrastrutture fossili inutili e dannose, abbia posto e ponga in essere atti che violano gli obblighi internazionali in materia di cambiamento climatico.
Ci vediamo davanti al Ministero della Transizione (?) ecologica il 9 ottobre prossimo.
Ma quali ambientalisti “radical chic”.
Rispondiamo alle recenti dichiarazioni del Ministro della Transizione (?) Ecologica, Roberto Cingolani. Perché le riteniamo offensive verso le migliaia di persone che in tutta Italia, da Taranto a Marghera, da Brindisi a Falconara, passando per Civitavecchia, Ravenna e tanti altri siti produttivi e inquinati soffrono le conseguenze ambientali sanitarie economiche della filiera da fonti fossili. Non è una questione da salotto per noi e moltissimi altri, forse lo è per lei ben comodo sulle poltrone.
La Campagna “Per il Clima, Fuori dal Fossile” è composta da movimenti che da oltre 30 anni lottano per l’ambiente, ma anche dai più giovani Fridays for Future, e dopo che la volontà popolare a larga maggioranza per ben 2 referendum vittoriosi si è espressa per l’abrogazione in Italia del nucleare del 1987 e del 2011, e con il problema ancora aperto del Deposito Unico delle Scorie Nucleari e del fallimentare progetto di Trisaia di rigenerare le scorie nucleari acquistate dagli USA, parlare di nuovi progetti nucleari è veramente anacronistico oltre che’ “ideologico”. Senza dover ricordare il disastro di Chernobyl e il più recente di Fukushima, dove ora si è costretti a rilasciare a tempo indeterminato le acque radioattive nel Pacifico.
Ministro Cingolani, non si capisce perché, mentre in Europa Lei sembra promuovere il PNRR italiano basato su incremento delle fonti rinnovabili, auto elettriche, idrogeno verde e risparmio energetico, invece in Italia sostiene in prima fila la fissione nucleare, auto e treni a idrogeno blu da metano, nuovi permessi di trivellazioni di petrolio e gas, a terra e a mare, e nuovi gasdotti, come l’autorizzazione rinnovata al megagasdotto Poseidon, con approdo a Otranto e gas proveniente da Israele, Cipro e Egitto.
La fusione nucleare è solo ai primi studi, e ci vorranno 30-50 anni prima che sia realizzabile. E intanto il VI rapporto AR dell’IPCC (composto dai massimi studiosi mondiali sull’emergenza climatica) denuncia l’allarme rosso per l’umanità, e lei ha voglia di deridere noi ambientalisti che denunciavamo già 30 anni fa la crisi climatica?
E mentre tutta Europa punta sulle auto 100% elettriche (basta guardare le pubblicità delle auto in TV), Lei guarda alle auto e alle caldaie per riscaldamento a idrogeno blu, un mercato che non ha né domanda né offerta? E a nuovi gasdotti? A inceneritori? A nascondere la CO2 sotto terra con i CCS? A nuove trivelle di petrolio e gas? Sono tutti progetti esclusi dalla UE dai progetti finanziabili con il Recovery Plan e Just Transition Fund. Si chiamano “stranded assets” in economia, opere che godono del finanziamento pubblico, ma che poi non diventano operative o comunque sono già progettati in perdita.
Il 24 agosto 2018 è entrato in vigore il “Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico” (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76), che obbliga lo Stato Italiano a sottoporre a consultazione pubblica e democratica tutte le grandi opere. Come hanno fatto per esempio Germania e Francia per ogni progetto PNRR presentato.
Perché non sappiamo nulla degli oltre 150 progetti che dovrebbero essere finanziati con la prima tranche del PNRR, ma avete pubblicato solo dei capitoli di spesa generali? Quali sono tali progetti e dove sono? I fondi del PNRR sono solo in parte un “regalo” della UE, ma due terzi sono debiti che dovremmo restituire noi “radical chic” e tutti gli italiani, in particolare i nostri figli, nei prossimi decenni: e vogliamo sapere per cosa saranno spesi gli oltre 50 miliardi per la parte fondamentale degli investimenti nelle energie.
Il prossimo 9 ottobre, porteremo la nostra protesta e le nostre proposte sotto al suo Ministero per reclamare un cambio di passo netto e deciso verso una vera riconversione ecologica per la giustizia climatica.
Chiediamo a tutte le realtà ecologiste e ai comitati territoriali, di confrontarci e di aderire a questo importante appuntamento, pensato come una tappa di quel percorso di mobilitazioni che, dal NO G20 di Venezia e di Napoli, passando dalle iniziative di contestazione della pre–Cop in programma a Milano, e dallo sciopero generale dei sindacati di base, ci porterà alle manifestazioni contro la COP 26 a Glasgow.