Una presenza provocatoria e inattesa sabato 12 Marzo, a Ravenna. Il Ministro della Finzione ecologica Cingolani è stato avvistato in Piazza del Popolo, seduto alla sua nuova scrivania. Ebbene sì, la campagna nazionale Per il clima fuori dal Fossile ha individuato per Cingolani la migliore collocazione per poter lavorare a stretto contatto con chi determina la sua agenda. Direttamente a Ravenna, dove Eni ha il suo quartier generale. Una manifestazione quella di ieri per ribadire la critica verso questo governo e contro un ministro esclusivamente deferente verso gli interessi delle multinazionali di settore, che consente loro di determinare la politica energetica nazionale e di partecipare addirittura alle trattative in politica estera.
Presenti movimenti di Veneto, Abruzzo, Marche, Emilia Romagna, del Molise e di Civitavecchia.
A Ravenna, in Piazza del Popolo, più di 300 persone, in rappresentanza di varie realtà territoriali da tutta Italia, hanno manifestato per mettere in chiaro che non è la guerra in sé responsabile dell’aumento del prezzo del gas, che il rincaro delle bollette ha origini ben diverse da quelle dichiarate dalle compagnie, che il problema non si risolverà aprendo nuovi pozzi petroliferi, né sfruttando al massimo quelli esistenti o rimettendo in funzione il carbone. Per ribadire che questa crisi, piuttosto, dipende dall’inerzia dei governi che si sono succeduti finora, che non hanno saputo o voluto programmare, né tantomeno attuare, la trasformazione del comparto energetico e produttivo in funzione delle esigenze della cittadinanza, con la conseguenza di aver creato anche un grande vuoto occupazionale. Non sono credibili i politici che solo oggi sembrano accorgersi della fragilità del nostro sistema di approvvigionamenti e cercano di correre ai ripari in modo improvvisato, minando fatalmente la reale transizione energetica. Se avessero agito tempestivamente, attuando tutte le misure indicate fin dalle prime conferenze sul clima, avrebbero investito nelle rinnovabili e non ci troveremmo oggi così fortemente dipendenti dall’estero e così preoccupati per la stabilità energetica del paese.Per questo siamo stati a Ravenna, sede di una delle maggiori multinazionali dell’oil&gas, per riaffermare che i territori non sono d’accordo con la politica governativa, che consente alle aziende, grazie ad uno stato di emergenza ormai permanente, di causare danni sui territori, cambiamenti climatici a livello globale e perpetrare le ingiustizie sociali di cui sono sempre state protagoniste in tutti gli angoli del pianeta.
Non solo ci si oppone ai 20 miliardi all’anno regalati al settore fossile ma si avanzano proposte concrete per una gestione energetica democratica, partecipata e da fonti pulite, sempre respinte, nonostante il loro largo consenso popolare e l’avallo di scienziati e giuristi. Siamo stati ancora una volta in piazza per dire Per il Clima Fuori dal Fossile!
In questi mesi in tante piazze, cortei, assemblee, abbiamo parteggiato con la lotta dei lavoratori e le lavoratrici della GKN di Campo Bisenzio. Ci siamo sentiti parte complice della loro presa di parola contro le delocalizzazioni, per lo sciopero generale e generalizzato, nella messa in discussione dei rapporti di forza nel mondo del lavoro, così come abbiamo avvertito la loro presenza e sintonia verso quelle movimentazioni che in tanti e tante abbiamo messo in moto intorno a questa sempre più contraddittoria e ambigua transizione ecologica, che assume forme e contenuti diversi, a seconda che sia imposta dall’alto o insorga dal basso.
Il sentirsi dalla stessa parte, il ritrovarsi nelle stesse piazze, il combattere da diversi fronti quelli che sempre più spesso si disvelano come gli stessi nemici, sono tutti segnali che ci indicano un percorso, certo ancora lungo, ma già vivo ed attivo in forme nuove che oltrepassano le agende imposte da altri.
Contestualmente al ritorno della guerra in seno all’Europa è passato nel dimenticatoio il nuovo rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici dello scorso 28 febbraio, successivo a quello ben più noto del 2018, secondo il quale per contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1.5° sarebbe necessario ridurre le emissioni di gas CO2 e di gas climalteranti del 55% entro il 2030 e del 100% entro il 2050. La crisi climatica non è più solo un presagio futuribile, ma il nostro presente che ci impone quanto prima strategie nel contempo di adattamento a tutela dei bisogni sociali e di costruzione oggi dei percorsi di uscita dai modelli economici che quella crisi l’hanno prodotta. Il futuro prossimo dell’Europa, specie quella meridionale, cioè casa nostra, sarà caratterizzato da siccità e ondate di calore, intensità di inondazioni e aumento del livello del mare, progressiva scarsità delle risorse idriche, quell’acqua bene comune ancora e continuamente a rischio grazie alla nuova ondata di privatizzazioni del governo Draghi. Crisi climatica, pandemia globale, e ora la guerra, hanno accelerato e precipitato processi di digitalizzazione dell’esistenza e di forme di controllo sempre più poliziesche, e allo stesso tempo di smisurata concentrazione di ricchezze finanziarie e produzione di povertà diffuse. La guerra è sempre la continuazione della politica con altri mezzi, i più sporchi e ipocriti: qui cade ogni vincolo economico di bilancio, ora si silenzia ogni spazio di mediazione e conflitto. Di fronte allo stato di emergenza, sono gli stessi responsabili della crisi a fornire le soluzioni: aumento delle spese militari e corsa agli armamenti, riapertura delle centrali a carbone e nuove trivellazioni, nucleare a fissione che tanto anche l’unione europea ci ha detto che è green.
La chiamata a convergere il 26 marzo, oggi, in questo contesto, amplifica il suo valore, e lo fa al rialzo, senza nulla togliere alle innumerevoli ragioni che lo hanno voluto e prefigurato, e facendo sintesi con il dato di eccezionalità dello scenario di guerra in cui ci vogliono impantanare.
Convergere significa mettere in comune come l’arma delle delocalizzazioni massimizzi i profitti d’impresa abbassando il costo del lavoro e i diritti dei lavoratori, globalizzi i capitali e localizzi la precarietà, e come egualmente eluda gli obblighi sull’abbattimento delle emissioni di CO2 creando nuovi rapporti coloniali, di sfruttamento, nuove ridefinizioni mondiali del mercato del lavoro, della produzione, delle esportazioni, ancora più inquinanti ed energivore.
Convergere verso un cambiamento radicale delle politiche energetiche, della mobilità, della riconversione industriale e della bonifica dei territori inquinati. Interrogativi all’ordine del giorno, sfide sulle quali misurarci. Per rompere il ricatto dei licenziamenti e delle delocalizzazioni, per la garanzia di un reddito diretto e indiretto, specie nell’attuale contesto di crisi economica che sta colpendo duramente le fasce sociali più deboli, con un grave e repentino innalzamento dei prezzi delle materie prime, dei beni di prima necessità, delle bollette e del costo della vita. Convergere verso un’autentica transizione ecologica che passi attraverso il cambiamento dei modi di produzione, oltre e più che degli stili di vita. Oltre il consumo consapevole, le pratiche di economia stanziale e di prossimità, le forme di risparmio e di filiere corte energetiche, la microgenerazione diffusa da energie rinnovabili, vanno di pari passo aggredite le questioni del come del cosa del quanto produciamo, degli spostamenti dei confini delle nuove forme di accumulazione che privatizzano e riducono a merce la natura, il vivente, il sapere e la conoscenza, i beni comuni.
Convergere significa ancora che il muro divisorio della storica strumentalizzazione del presunto conflitto ambiente/lavoro, sempre aizzata da chi ben sappiamo in momenti nevralgici di decisione politica e con conseguenze spesso nefaste per la difesa dell’ambiente come del lavoro, oggi manifesta sempre più falle. Convergere per continuare ad allargare queste crepe, intrecciare le mobilitazioni, stringere ancora di più i nodi tra lotte operaie e battaglie territoriali, tra saperi scientifici, tecnici e giuridici ed esperienze di democrazia e partecipazione diretta e dal basso. Oggi si diffondono sempre di più nuove consapevolezze e sperimentazioni che individuano nel legame tra garanzia del reddito e del lavoro, ed una reale e giusta transizione ecologica un passaggio ineludibile.
Il 26 marzo saremo a Firenze per convergere con il nostro pezzo di storia, con le nostre convinzioni, con i volti e i corpi delle attiviste e degli attivisti provenienti dalla lunga cartografia di questo paese che sacrifica intere comunità, pezzi di territorio, vite pulsanti, sull’altare del profitto dell’economia da fonti fossili, tossiche, nocive.
Campagna Per il clima fuori dal fossile 8 marzo ’22
Ravenna. La Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile” convoca una manifestazione – presidio in Piazza del Popolo per il 12 marzo
La Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile” convoca a Ravenna per sabato 12 marzo alle ore 11 una manifestazione-presidio in Piazza del Popolo per far sentire la propria protesta. Un portavoce assersice: “Una manifestazione organizzata da chi non vuole assoggettarsi alle scelte ambientali e sociali distruttive e all’inganno delle operazioni di “riverniciatura verde”, e non intende subire passivamente i venti di guerra, che nella dipendenza energetica trovano una delle cause principali. Invitiamo tutte e tutti a partecipare e divulgare l’iniziativa, portando con sé anche i simboli della Pace”. Durante la manifestazione verrà lanciata la petizione per la riduzione delle bollette proposta dalla Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile”. Nella nota stampa diffusa dalla Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile” si legge quanto segue:
“La drammatica fase storica che sta vivendo tutta l’Europa, con il catastrofico precipitare degli eventi in Ucraina, ha fra le sue cause principali la feroce contesa per le risorse energetiche.
Contrariamente a quello che affermano gran parte del mondo economico, le principali istituzioni e buona parte dell’informazione, non sarà con il ricorso alla moltiplicazione delle trivellazioni in Adriatico, Pianura Padana e in quasi tutta Italia (con conseguente irreversibile devastazione ambientale), e tantomeno con il ritorno al carbone o con il rilancio del nucleare, che ci libereremo dalla dipendenza energetica e dalle crisi internazionali ad essa collegate.
Senza contare che neppure i già timidi obiettivi europei e mondiali di decarbonizzazione e contenimento del riscaldamento del pianeta falliranno miseramente, se la strada dell’alternativa non verrà intrapresa.
Solo un vero programma di riduzione delle fonti fossili e di progressiva fuoriuscita da esse, e lo sviluppo di un nuovo modello energetico basato sulle rinnovabili, sulle comunità energetiche, su un serio piano di risparmio e sulla tutela dell’ambiente, può dare alle future generazioni la speranza per l’ avvenire.
ENI e gli altri colossi dell’ energia sono diventati il vero governo del nostro Paese, e le Istituzioni nazionali e locali sono in gran parte asservite alle loro scelte, che porteranno al peggioramento della già drammatica crisi ambientale e a sempre maggiori pericoli per l’umanità intera.”